---
Lessi questo libro molti anni fa, da ragazzina, e mi piacque tantissimo, così l'ho riaperto con piacere quando mi ci sono imbattuta di nuovo. Purtroppo stavolta il risultato è stato piuttosto diverso: ho trovato il romanzo noioso e poco piacevole.
La storia è resa come il lungo monologo di una donna, rivolto al bambino che ha scoperto di aspettare. Si tratta di un donna in carriera, single, ma siamo negli anni '70, e ciò la rende bersaglio di terribili pregiudizi che non risparmiano nemmeno il ginecologo dal quale si reca.
E questa narratrice estremamente cinica vuol credere di non amare il suo bambino, che invece ama profondamente, e gli parla della vita come di qualcosa di orribile, quasi a volerlo spingere a scegliere di non nascere, e poi gli chiede scusa, raccontandogli cosa c'è di bello, e che vale pur sempre la pena venire al mondo, ma in tono smorzato, senza la convinzione e la vibrante passione usata prima.
Racconta al bambino quelle che chiama "favole", ma che sono terribili racconti di vita vissuta, e fanno accapponare la pelle. Forse è da quelle esperienze che deriva tutta la rabbia e il risentimento che mi sembrano impregnare questa donna, che pare legata alla sua libertà quasi per partito preso, per andare contro una società che invece pretenderebbe che lei vi rinunciasse.
E questa narratrice estremamente cinica vuol credere di non amare il suo bambino, che invece ama profondamente, e gli parla della vita come di qualcosa di orribile, quasi a volerlo spingere a scegliere di non nascere, e poi gli chiede scusa, raccontandogli cosa c'è di bello, e che vale pur sempre la pena venire al mondo, ma in tono smorzato, senza la convinzione e la vibrante passione usata prima.
Racconta al bambino quelle che chiama "favole", ma che sono terribili racconti di vita vissuta, e fanno accapponare la pelle. Forse è da quelle esperienze che deriva tutta la rabbia e il risentimento che mi sembrano impregnare questa donna, che pare legata alla sua libertà quasi per partito preso, per andare contro una società che invece pretenderebbe che lei vi rinunciasse.
Ho trovato l'episodio del processo molto noioso e troppo lungo, e la scelta finale della protagonista, con la sua estrema conseguenza, mi è parsa quasi una sorta di punizione autoinflitta per essere rimasta fedele a priori alle proprie convinzioni e non aver voluto mettere il suo bambino prima di se stessa. Se così fosse, si tratterebbe di un finale ancor più amaro di quel che traspare ad una lettura superficiale, e il messaggio del romanzo sarebbe alquanto ambiguo.
---
Trama: Questo libro diverso da ogni altro nella forma e nella sostanza sarà una grossa sorpresa pei lettori di Oriana Fallaci, cioè della Fallaci che racconta la guerra in "Niente e così sia" o attacca il potere in "Intervista con la Storia". Stavolta infatti la Fallaci affronta, in chiave squisitamente letteraria, un dilemma antico quanto il mondo: nascere o non nascere, dare la vita o negarla, e la donna sempre vittima di quel dilemma. Lettera a un bambino mai nato è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che ci viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente, e lavora.
Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringere alla vita quel figlio? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo paradossale di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà è un sogno, la giustizia un'imbroglio, il domani uno ieri, l'amore una parola dal significato non chiaro. Però mentre il discorso procede, razionale e insieme appassionato, un secondo problema emerge: il rapporto tra se stessa e il figlio. Una seconda domanda esplode: è giusto sacrificare una vita già fatta a una vita che ancora non è? E il monologo diventa quasi una confessione alla propria coscienza, mentre il dramma matura nutrito dagli altri personaggi. Sette personaggi anch'essi senza nome né volto né età né indirizzo: il padre del bambino, l'amica femminista, il datore di lavoro, il medico ottuso, la dottoressa moderna, i vecchi genitori. Tutti testimoni ignari di quel rapporto impossibile, basato su un'altalena di amore e di odio, di tenerezze e di risse, infine esasperato dalla rivolta di una creatura intelligente che accetta la maternità ma da quella si sente derubata.
E' in tale rivolta che la donna lancia la sfida definitiva a suo figlio: a lei il diritto di esistere senza lasciarsi condizionare da lui, a lui il diritto di decidere se vuole esistere o no. Il bambino decide, e non solo per se stesso. Il suo rifiuto della vita, ora che sa quanto sia faticosa e difficile, coinvolge infatti la madre. E nel modo più crudele, cioè attraverso un processo che ne deciderà la colpevolezza. Il nodo del libro o il Processo, celebrato da una simbolica giuria di cui fanno parte i sette personaggi. Poi, in un accavallarsi di suspense, l'allucinante colpo di scena e il verdetto con cui si conferma che è sempre la donna a pagare. Alla donna tocca la morte e...
Come sempre accade con un'opera riuscita, ciascuno darà a questo libro un'interpretazione diversa, ora religiosa e ora dissacrante, ora filosofica e ora romantica, ora politica e ora personale. Alcuni lo inseriranno addirittura nella polemica sull'aborto, trovandovi entrambe le tesi e servendosene. Le discussioni che sorgeranno intorno a "Lettera a un bambino mai nato" sono inevitabili. Ma sopra di esse rimarrà quel problema universale, insoluto, che ha nome maternità e su cui la Fallaci ci costringe a meditare con la bellezza di un racconto crudele e intriso di poesia.
---
Giudizio personale: 3/5
---
Trama: Questo libro diverso da ogni altro nella forma e nella sostanza sarà una grossa sorpresa pei lettori di Oriana Fallaci, cioè della Fallaci che racconta la guerra in "Niente e così sia" o attacca il potere in "Intervista con la Storia". Stavolta infatti la Fallaci affronta, in chiave squisitamente letteraria, un dilemma antico quanto il mondo: nascere o non nascere, dare la vita o negarla, e la donna sempre vittima di quel dilemma. Lettera a un bambino mai nato è il tragico monologo di una donna che aspetta un figlio guardando alla maternità non come a un dovere ma come a una scelta personale e responsabile. Una donna di cui non si conosce né il nome né il volto né l'età né l'indirizzo: l'unico riferimento che ci viene dato per immaginarla è che vive nel nostro tempo, sola, indipendente, e lavora.
Il monologo comincia nell'attimo in cui essa avverte d'essere incinta e si pone l'interrogativo angoscioso: basta volere un figlio per costringere alla vita quel figlio? Piacerà nascere a lui? Nel tentativo paradossale di avere una risposta la donna spiega al bambino quali sono le realtà da subire entrando in un mondo dove la sopravvivenza è violenza, la libertà è un sogno, la giustizia un'imbroglio, il domani uno ieri, l'amore una parola dal significato non chiaro. Però mentre il discorso procede, razionale e insieme appassionato, un secondo problema emerge: il rapporto tra se stessa e il figlio. Una seconda domanda esplode: è giusto sacrificare una vita già fatta a una vita che ancora non è? E il monologo diventa quasi una confessione alla propria coscienza, mentre il dramma matura nutrito dagli altri personaggi. Sette personaggi anch'essi senza nome né volto né età né indirizzo: il padre del bambino, l'amica femminista, il datore di lavoro, il medico ottuso, la dottoressa moderna, i vecchi genitori. Tutti testimoni ignari di quel rapporto impossibile, basato su un'altalena di amore e di odio, di tenerezze e di risse, infine esasperato dalla rivolta di una creatura intelligente che accetta la maternità ma da quella si sente derubata.
E' in tale rivolta che la donna lancia la sfida definitiva a suo figlio: a lei il diritto di esistere senza lasciarsi condizionare da lui, a lui il diritto di decidere se vuole esistere o no. Il bambino decide, e non solo per se stesso. Il suo rifiuto della vita, ora che sa quanto sia faticosa e difficile, coinvolge infatti la madre. E nel modo più crudele, cioè attraverso un processo che ne deciderà la colpevolezza. Il nodo del libro o il Processo, celebrato da una simbolica giuria di cui fanno parte i sette personaggi. Poi, in un accavallarsi di suspense, l'allucinante colpo di scena e il verdetto con cui si conferma che è sempre la donna a pagare. Alla donna tocca la morte e...
Come sempre accade con un'opera riuscita, ciascuno darà a questo libro un'interpretazione diversa, ora religiosa e ora dissacrante, ora filosofica e ora romantica, ora politica e ora personale. Alcuni lo inseriranno addirittura nella polemica sull'aborto, trovandovi entrambe le tesi e servendosene. Le discussioni che sorgeranno intorno a "Lettera a un bambino mai nato" sono inevitabili. Ma sopra di esse rimarrà quel problema universale, insoluto, che ha nome maternità e su cui la Fallaci ci costringe a meditare con la bellezza di un racconto crudele e intriso di poesia.
---
Giudizio personale: 3/5
Nessun commento:
Posta un commento