Titolo originale: Luftslottet som sprängdes
Lingua: italiano
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La regina dei castelli di carta è il volume conclusivo della trilogia Millennium (trilogia "forzata" dalla prematura morte dell'autore Stieg Larsson, che aveva progettato invece ben dieci volumi).
La storia continua direttamente quella de La ragazza che giocava con il fuoco. Troviamo, infatti, Lisbeth ricoverata in ospedale in seguito alle ferite ricevute a Gosseberga e in attesa del processo. Il romanzo, questa volta, si discosta dal tema degli uomini che odiano le donne, diventando piuttosto una (buona) spy-story, tanto che più di una volta il narratore o uno dei personaggi si vede costretto a sottolineare che, in fondo, si tratta comunque di violenza sulle donne.
La storia, purtroppo, è piuttosto noiosa: durante le prime 500 pagine, da cui comincia ad accadere qualcosa di interessante, ho pensato più volte di mollare il libro, ed ho continuato solo perché si trattava del romanzo conclusivo.
Lo stile dell'autore, che ci mette a parte di tutte le azioni dei protagonisti, come andare al bagno, mangiare un panino o sfogliare un giornale, pare appesantire il tutto e mi ha fatto ogni volta sperare che si andasse avanti con la storia, che accadesse qualcosa di importante!
Il senso di ingiustizia che si respira nel corso del romanzo è soffocante, e di sicuro non sarebbe stato un difetto bensì un pregio, se non fosse stato unito al senso di noia generale che ispira gran parte della storia.
Uno dei meriti dell'autore è sicuramente quello di mettere in luce vari aspetti negativi dell'organizzazione governativa di un paese, la Svezia, che, visto da fuori, può sembrare quasi perfetto a chi si accontenti di un'occhiata superficiale.
Il processo a cui è sottoposta Lisbeth è una delle parti migliori del romanzo, in cui i nodi vengono al pettine e finalmente c'è giustizia per la protagonista. Il senso di compiutezza dell'evento fa sì che la parte finale, con l'allontanamento della ragazza e poi l'incontro con Niedermann, risulti quasi qualcosa di estraneo e superfluo.
Restando in tema di eventi superflui, credo che si sia dato troppo spazio ad Erika: non è un personaggio così fondamentale o a cui ci si è affezionati nei precedenti volumi, quindi mi sembra inutile seguirla nella sua nuova veste di caporedattore dell'Smp. Probabilmente la sua vicenda con lo stalker è servita ad agganciarsi al tema della violenza sulle donne, ma ha appesantito di molto la storia. Le sue vicissitudini come nuovo caporedattore ci fanno sicuramente comprendere come sia difficile, per una donna assurta a un posto di potere, farsi accettare dai colleghi uomini, e c'è del buono in questo, ma dedicare meno spazio al personaggio riducendo la mole del romanzo e permettendo al lettore di focalizzarsi sulla protagonista, avrebbe secondo me giovato al romanzo.
In un post precedente avevo espresso il mio timore che la storia potesse non avere una degna conclusione a causa della morte del suo autore, così sono stata molto sorpresa nel constatare che invece La regina dei castelli di carta può essere considerata come la definitiva conclusione delle vicende di Lisbeth e Mikael Blomkvist. Nulla è lasciato in sospeso, mi sarebbe solo piaciuto sapere qualcosa di più su Camilla Salander, ma forse era nei piani dell'autore raccontarci di lei in uno dei sette romanzi successivi.
" È bello che sia finita" disse Armanskij.
"Amen" disse Mikael.
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Quarta di copertina: Lisbeth Salander è sopravvissuta al fuoco, ma è ancora lontana dall'aver risolto i suoi problemi. Persone potenti cercano di ridurla al silenzio per sempre. Intanto, Mikael Blomkvist è riuscito ad avvicinarsi alla verità sul suo terribile passato ed è deciso a pubblicare un articolo di denuncia che farà tremare il governo, i servizi di sicurezza e l'intero paese.
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Giudizio personale: 3/5
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[attenzione: qualche piccolo SPOILER]
Anche dal terzo volume della trilogia è stato tratto un film svedese, dal titolo Luftslottet som sprängdes, mandato in onda in Italia da laEffe come quinto e sesto episodio della serie tv Millennium.
Come i due precedenti, anche questo film è molto ben realizzato e, messa da parte la cittadina immaginaria di Hedestad, la macchina da presa può indugiare molto spesso sui bei paesaggi svedesi.
Il cast è quello consueto, con una Noomi Rapace molto brava e un Anders Ahlbom perfetto nella sua resa dell'odioso dottor Peter Teleborian. Fisicamente molto diversa da come l'avevo immaginata, invece, Mirja Turestedt nel ruolo di Monica Figuerola.
La trama si concentra essenzialmente sulla spy-story della Sezione, accennando solo all'inizio alla tratta delle donne.
Molto più che nelle due pellicole precedenti, possiamo osservare dei tagli rispetto al romanzo originale: la storia tra Monica e Mikael è del tutto cassata, e il giornalista trova una sorta di "lieto fine" con la collega Erika Berger. Il fatto che questa sia sposata viene accennato solo come scherzo in una breve scena durante un pranzo di famiglia, e la sua disavventura con lo stalker è molto ridimensionata.