venerdì 27 gennaio 2012

3096 giorni

Autrice: Natascha Kampusch
Titolo originale: 3096

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Non posso dire di ricordare con esattezza la notizia del rapimento di Natascha Kampusch: i volti e i nomi delle bambine rapite negli anni '90 in Europa si confondono nella memoria, e solo alcuni ne emergono con chiarezza; ma ricordo la notizia della sua liberazione -o meglio, auto-liberazione-, avvenuta dopo ben otto anni e mezzo, il clamore, le interviste, le ipotesi.
Ebbene, dopo aver letto questo libro, in cui comunque l'autrice molto tace, è lecito dire che l'orrore di cui è capace un essere umano, e le sofferenze che può arrecare ad un suo simile -in questo caso una bambina di soli 10 anni-, superano qualsiasi immaginazione. E infatti ho corso molto per terminare 3096 giorni, perché volevo che lei riuscisse a scappare via, e a liberarsi dal suo incubo.
Non starò qui a riassumere fatti, maltrattamenti ed umiliazioni, non credo che lo scopo del libro fosse questo.
La storia che ci racconta Natascha Kampusch, infatti, ci dà modo di riflettere su molte questioni: sul fatto che nessuno sia del tutto buono o cattivo; sulla responsabilità che hanno la società e la famiglia nella creazione dei cosiddetti "mostri"; sul coraggio e la forza che possono avere i bambini; sulla reazione che ha il mondo nei confronti delle "vittime".
E' questo un argomento che lascia molto amaro in bocca: l'autrice, infatti, pone l'attenzione sul fatto che una persona che ha subito abusi riceve solidarietà ed affetto da chi non ha vissuto la sua esperienza, solo finché resta "vittima", se è ormai spezzata e può considerare distrutta la sua vita.
Ma se questa persona, invece, si mostra forte, desiderosa di andare avanti, di parlare di ciò che le è accaduto e cercare di comprenderlo, di trovare del buono in chi le ha fatto tanto male, allora viene abbandonata, disprezzata, a volte addirittura odiata, tacciata di essere preda della sindrome di Stoccolma.
Cosa può offrire allora la società a queste persone che hanno sofferto tanto, quale conforto, quale comprensione, se non accetta che gli stereotipi,  e rifiuta qualsiasi accenno alla forza d'animo e alla speranza?

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Giudizio personale: 3/5


giovedì 19 gennaio 2012

La svastica sul sole - Citazioni

" Forse se uno sa di essere pazzo, allora non è pazzo. Oppure può dire di essere guarito, finalmente ".


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" ...che cosa significa la parola 'pazzo'? [...] Io la sento, la vedo, ma che cos'è? E' qualcosa che fanno, qualcosa che sono ".


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" Gli dei distruggono coloro di cui si accorgono ".


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" Non posso ritrovare la fede o l'entusiasmo con la sola forza di volontà. Semplicemente perché decido di ritrovarli ".


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" Sono troppo piccolo [...]. Posso leggere solo quello che è scritto, alzare lo sguardo e poi abbassare la testa... ".


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" Eppure, se una persona, anche una sola, trova la via... ciò significa che c'è una Via. Anche se io personalmente non riesco a trovarla ".





Promessi vampiri

Autrice: Beth Fantaskey
Titolo originale: Jessica's guide to dating on the dark side

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Il fenomeno dei romanzi young adult è esploso negli ultimi tempi con decine di titoli per lo più aventi come protagonisti vampiri o altre creature soprannaturali.
Ero curiosa di leggere uno di questi libri, così ho scelto quello che mi sembrava uno tra i più osannati nei vari blog che di tanto in tanto visito...
innanzitutto vorrei tranquillizzare gli animi dicendo che non si tratta né di una rielaborazione del romanzo manzoniano né di un mesh up.
La storia narra infatti di una teenager americana, Jessica, che si ritrova in casa un ragazzo rumeno, Lucius, naturalmente vampiro, naturalmente alto, bello, affascinante, ecc. ecc.
Da questi, la ragazza viene a sapere di essere lei stessa un vampiro, o meglio una principessa vampiro, e che al compimento della maggiore età dovrà sposare il suo ospite, per onorare un patto stipulato dai rispettivi genitori, e per evitare una guerra sanguinosa tra clan.
Secondo me la storia non sta in piedi.
Tutta la mitologia vampirica viene stravolta.
Da quando le creature della notte possono vivere alla luce del sole (questa volta senza anelli o incantesimi vari), riprodursi, e i loro figli crescere come normali essere umani? C'è addirittura una guida per vampiri adolescenti, che li aiuta a superare questa delicata fase della vita. Tra l'altro si dice che i denti delle ragazze non avranno la facoltà di crescere fino a quando le fanciulle non saranno morse da un loro simile... ma perché le donne devono sempre avere bisogno di un uomo per sviluppare il proprio potenziale? Le vampirette che non troveranno un maschio disposto a morderle dovranno passare tutto il resto della non-vita  con le gengive doloranti?
A parte questo, anche alcuni personaggi sono stati deludenti, in primis proprio Lucius, che è irritante sin dall'inizio, e poi i genitori adottivi di Jessica, persi tra yoga, cibi vegani e quant'altro, che mostrano solo raramente un briciolo di maturità... spezzo una lancia in favore della protagonista, perché mi fa piacere che, anche se rotondetta, finisca per accettarsi e considerarsi bellissima e capace di svolgere il suo ruolo di regnante... ah, e naturalmente c'è una cheerleader, che proprio perché tale, è bella, bionda, cattiva, superficiale, ed acerrima nemica di Jessica.
Divertenti solo le prime lettere che Lucius invia allo zio in Romania, in cui gli parla delle stranezze dell'America e soprattutto di quelle dei suoi ospiti; per il resto, ho faticato davvero molto a terminare il libro, a causa della trama e dello stile, che definire brutto è un eufemismo.
Promessi vampiri continua con The dark side, ma credo che, almeno per il momento, lascerò perdere... a chi sia interessato, invece, può far piacere sapere che sul sito ufficiale della scrittrice si può leggere in italiano l'episodio del matrimonio tra i due ragazzi, che non è presente nel romanzo.

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Retrocopertina: Sposarsi con un vampiro non era nei piani di Jessica Packwood, studentessa all’ultimo anno di liceo. Ma Lucius Vladescu, uno studente straniero dalla bellezza folgorante, compare nella sua vita e le rivela le sue vere origini: Jessica è stata adottata; il paese da cui proviene è la Romania e i suoi veri genitori sono i capostipiti di un potente clan di vampiri, i Dragomir. Lucius e Jessica sono stati promessi in matrimonio al momento della nascita e hanno il compito di riportare la pace fra i Dragomir e i Vladescu. Jessica, dapprima scettica, si trova così a dover lottare per riconquistare il suo principe, evitare una guerra fra vampiri di proporzioni mondiali e salvare l’anima di Lucius dalla dannazione eterna.

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Giudizio personale: 1/5


domenica 15 gennaio 2012

Blu quasi trasparente

Autore: Ryu Murakami
Titolo originale: Kagirinaku tomei ni chikai buru

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Blu quasi trasparente è un romanzo breve autobiografico "per metà", scritto con uno stile chiaro ed essenziale che ho apprezzato molto.
Racconta di un gruppo di ragazzi piuttosto giovani -il protagonista, Ryu, ha solo diciannove anni- che passano le loro giornate assumendo qualsiasi tipo di droga e praticando sesso promiscuo -è presente la descrizione di un'orgia, piuttosto esplicita e che finisce col risultare disgustosa-.
Il libro fece molto rumore in Giappone ai tempi della sua pubblicazione, perché forse per la prima volta qualcuno osava parlare dell'altra faccia della medaglia di una società ordinata e limpida -rappresentata, a mio avviso, dalle persone, splendidamente descritte, che si intravedono passare attraverso la porta aperta della casa di Ryu-.
I ragazzi della storia ci appaiono infatti senza futuro, completamente sbandati, a tratti violenti -ma anche all'occorrenza solidali gli uni con gli altri- e disincantati. Solo il protagonista, infatti, sembra conservare ancora dentro di sé una sensibilità tale da fargli apprezzare ciò che vede al di là di un vetro, ed anche un briciolo di ingenuità.
Molto bella la metafora, che per alcuni sta per la bomba che sconvolse il Giappone, ma che io ho letto come qualcosa di oscuro e cattivo che si nasconde al di sotto della società ed è contemporaneamente la società stessa, e che Ryu chiama "l'uccello nero", così grande che non si riesce mai a vederlo per intero.

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Giudizio personale: 2/5

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E' possibile scaricare gratuitamente l'e-book di Blu quasi trasparente -in italiano- a questo indirizzo.

Le due tigri

Autore: Emilio Salgari

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Il mio "viaggio" nella letteratura per ragazzi continua con Le due tigri di Emilio Salgari. Qui vediamo Sandokan  spingersi fino in India insieme al fedele amico Yanez per salvare la figlioletta di Tremal-Naik, Darma, rapita dai settari della dea Kalì, il cui capo è il malvagio Suyodhana.
Le due tigri del titolo sono infatti quella della Malesia, e cioè Sandokan, e quella dell'India, il capo dei settari.
La storia è successiva ai romanzi Le tigri di Mompracem, I misteri della jungla nera e I pirati della Malesia, ma può essere letto anche isolatamente.
E' questo un libro che mantiene ciò che promette, e cioè avventura. Non è possibile, infatti, girare pagina senza che i protagonisti si trovino a dover fronteggiare dei pirati, cadano in un'imboscata o rischino di essere assaliti da animali feroci.
Molto belle le descrizioni dell'ambiente naturale in cui si muovono Sandokan e compagni, ed anche quelli degli interni, meno numerosi.
E' interessante che l'autore dia anche informazioni al lettore, come nel caso dell'insurrezione indiana o del destino delle vedove del subcontinente, il che permette di calarsi meglio nella storia e, perché no, di acquisire qualche informazione in più.
Benché il romanzo sia zeppo di traditori e assassini -ma senza mai risultare violento-, mi ha colpito molto constatare quanti buoni sentimenti, ingenuità e fiducia verso il prossimo alberghino invece nei protagonisti.
Un pò deludente solo la lotta tra le due tigri, conclusasi davvero troppo presto.

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-Chi siete voi dunque, che dalla lontana Malesia venite qui a sfidare la potenza dei thugs, che ha resistito e resiste tuttavia ai colpi del governo anglo-indiano?-
-Chi siamo noi?- disse Yanez alzandosi. - Degli uomini che un giorno hanno fatto tremare tutti i sultani del Borneo, che hanno strappato il potere a James Brooke, lo "Sterminatore dei pirati", ed hanno fatto impallidire perfino il leopardo inglese: noi siamo i terribili pirati di Mompracem!-


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Giudizio personale:  3/5


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Approfondimenti/1 - I Thugs


Nel romanzo Sandokan, Yanez e i loro compagni combattono contro i terribili settari di Kalì, i Thugs.


Si può dire che i Thugs sono stati una setta di assassini che contava una numerosa schiera di seguaci ed una ancor più folta moltitudine di vittime. L’appartenenza alla setta era segreta, e gli adepti erano insospettabili che quotidianamente conducevano una vita rispettabilissima.
I Thugs non erano infatti banditi comuni: la loro attività era determinata da profonde convinzioni religiose. 
Le uccisioni da loro perpetrate avevano lo scopo di ingraziarsi la loro divinità ispiratrice e protettrice, la dea Kalì, guadagnando così meriti per sfuggire all'altrimenti eterno ciclo della reincarnazione. E ciò non solo per loro stessi, ma anche per le loro vittime.
Questo però era possibile solo se la vittima veniva uccisa secondo uno specifico rituale.
 
Il rito del sacrificio, chiamato THAGI, prevedeva l’uccisione per strangolamento, ed era importante che avvenisse senza spargimento di sangue. 
L’episodio che in questo modo veniva ricordato e perpetuato era quello della creazione stessa dei Thugs: all’inizio del mondo, mentre gli dei stavano creando i primi esseri umani, questi venivano continuamente uccisi dal demone RIKTAVIJ. Per sconfiggere tale demone gli altri dei chiesero aiuto a Kalì, ma anch’essa non riuscì nell’impresa, perché ogni volta che, con la sua spada, tagliava in due il demone, questi si rigenerava continuamente dal suo stesso sangue. Allora la dea creò due uomini che fornì di due strisce di stoffa prese dal proprio vestito, e questi le usarono per uccidere il demone senza versare sangue. Furono i primi due Thugs, e a loro e ai loro discendenti la dea dette il compito di immolare tutti gli altri demoni che avessero incontrato.

Dai demoni agli esseri umani il passo fu breve. 
I Thugs non uccidevano donne e bambini e spesso adottavano i piccoli delle loro vittime. Inoltre sfuggivano ai loro terribili e mortali fazzoletti gli appartenenti ad alcune categorie di lavoratori che erano sacri alla loro protettrice, quali ad esempio ciabattini, carpentieri, fabbri e tagliatori di pietre.
I thugs spesso si univano a carovane e, dopo averne ottenuta la fiducia, sorprendevano i componenti e li sterminavano. 
Utilizzavano un "fazzoletto" di seta, detto RUHMAL, piuttosto lungo, arrotolato e provvisto ad una estremità di una pesante moneta. Esso veniva indossato come una cintura e poi utilizzato facendolo roteare in modo che la moneta colpisse la testa della vittima, stordendola.
L’attività dei Thugs era giunta nel XIX secolo a provocare migliaia di vittime ogni anno.
Nel 1826 fu incaricato di combatterli il capitano William Sleeman. Questi studiò a lungo il loro mondo segreto ed intraprese una dura lotta, riuscendo a sconfiggerli e debellarli in un tempo sorprendentemente breve. I Thugs comunicavano tra loro utilizzando un codice segreto detto RAMASEE, che Sleeman decifrò, e questo contribuì notevolmente ad accelerare la loro sconfitta. Nella sua azione utilizzò anche molti "pentiti" e questo, unito anche alla distanza culturale tra i giudici inglesi e gli accusati indiani, produsse probabilmente anche numerosi errori giudiziari. 
La repressione fu nel complesso molto dura (ca. 4 mila giustiziati) ma accompagnata anche da numerosi esempi di clemenza; ad esempio i pentiti avevano salva la vita e venivano inviati, insieme ai più giovani catturati, in istituti di rieducazione.

Nella memoria inglese i Thugs sono rimasti con una connotazione profondamente negativa, tanto da entrare nel loro vocabolario, dove "thug" significa letteralmente "delinquente", "teppista". In realtà "thug" è la anglicizzazione della parola sanscrita "thag" che significa "ingannatore".
In India la presenza dei Thugs risale almeno al XIIII secolo, ma essi furono attivi soprattutto nel XVIII-XIX secolo nella zona nordorientale e in particolare nel Bengala. 
Infatti Kalì è tradizionalmente la dea protettrice di Calcutta, la capitale dello stato del Bengala. 
La città stessa di Calcutta deve il suo nome all’esistenza di un tempio dedicato a tale dea. Infatti, in bengalese, la città di Calcutta si chiama KALIKATA. Questo è il nome bengalese di uno dei tre villaggi che gli Inglesi nel XVIII secolo riunirono per edificare la futura capitale dei loro possedimenti in India, nome dovuto appunto alla presenza del più famoso santuario della dea, il Kalighat.


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Approfondimenti/2 - La dea Kalì

(click per ingrandire)

Kali ("la nera") è la madre dea Hindu, simbolo di dissoluzione e distruzione. 
Appare per la prima volta nel Rig Veda non in qualità di divinità, ma come lingua nera delle sette lingue fiammeggianti di Agni, il dio del fuoco.
Inviata sulla Terra per sgominare un gruppo di demoni, iniziò ad uccidere anche gli esseri umani. Per fermarla, Śiva si distese fra i cadaveri, e quando la dea si accorse che stava per calpestare il proprio marito, interruppe la sua furia.

La sua apparenza è terrificante: ha occhi minacciosi, lingua sporgente e quattro braccia. 
In una mano alzata impugna una spada insanguinata e in una abbassata tiene la testa recisa di un demone. Con la mano sinistra compie un gesto di minaccia, mentre la destra accorda benefici. 
Intorno a lei vi è una catena di teste umane mozzate, ed indossa una cintura composta di braccia smembrate. E' spesso rappresentata danzando o in unione sessuale con Shiva. 

La rigogliosa capigliatura di Kali è arruffata, e simboleggia la sua illimitata libertà primordiale. Un’altra interpretazione dice che ogni capello è un jiva (anima individuale), e che tutte le anime hanno le loro radici in Kali.
La dea ha tre occhi; il terzo è quello della saggezza.
La sua lingua protesa è una manifestazione della sua natura terribile e divoratrice; è invece considerata a volte un segno di ritrosia, perchè sta involontariamente calpestando il corpo del suo sposo Shiva.
Le braccia rappresentano la capacità all'azione, mentre i cinquanta crani rappresentano le cinquanta lettere dell’alfabeto; la carnagione scura rimanda alla dissoluzione di ogni individualità; la nudità della dea significa la caduta di ogni illusioneil laccio con cui prende le teste per mozzarle rappresenta la caducità di tutto ciò che esiste.



lunedì 2 gennaio 2012

Dalia nera

Autore: James Ellroy
Titolo originale: The Black Dahlia

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Leggere Dalia nera significa calarsi negli anni '40, in un'atmosfera fumosa e a tratti claustrofobica, dove d'un tratto i colori possono sparire per lasciare spazio solo al bianco e al nero.
Nucleo del romanzo è l'assassinio di Elizabeth Short, che cambierà la vita dei due poliziotti ex-pugili Lee e Dwight/"Bucky". Nel primo, il caso risveglierà vecchi dolori e sensi di colpa, mentre per il secondo diventerà un'ossessione, che lo porterà quasi a perdere tutto ciò che è riuscito a guadagnarsi nella vita.
Il romanzo è ricco di colpi di scena e "falsi finali": quando sembra che la storia potrebbe terminare lì, ecco che un nuovo evento o una nuova scoperta mettono di nuovo tutto in discussione.
In particolare è una sorpresa la verità sul passato di Lee e sulla sua fine, e naturalmente la vera identità dell'assassino della Dalia.
I personaggi sono molto ben caratterizzati, ed ho apprezzato parecchio tutti i membri della famiglia Sprague, presenti soprattutto nell'ultima parte del romanzo, che è quella che ho preferito, mentre i primi capitoli, per lo più incentrati sul passato da boxeur dei due poliziotti e sul loro incontro, sono stati piuttosto lenti.

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Giudizio personale: 4/5

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Il romanzo Dalia nera si ispira ad un fatto realmente accaduto, e cioè l'orrendo assassinio della ventiduenne Elizabeth Short, che nella realtà è rimasto irrisolto.
La pagina di Wikipedia dedicata al caso è molto interessante, soprattutto per quanto riguarda i principali sospettati.

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Aggiornamento - 26/01/13

Dal romanzo di James Ellroy è stato tratto nel 2006 il film The Black Dahlia, con Josh Hartnett ("Bucky"), Aaron Eckhart ("Lee"), Scarlett Johansson (Kay) e Hilary Swank (Madeleine).


La pellicola è molto aderente al libro, eccetto per l'episodio ambientato in Messico, eliminato evidentemente per mancanza di tempo.
Mi sono piaciute molto le musiche e la fotografia, e come è stato reso il rapporto tra i tre protagonisti principali, tuttavia non manca qualche momento di stanca, e alla questione dell'omicidio della Dalia è dedicata per lo più la seconda metà del film, con una risoluzione del caso che mi è sembrata un pò affrettata.



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Il personaggio di Elizabeth Short compare anche nella puntata numero 9 della prima serie di American Horror Story, intitolata "Spooky Little Girl".


La Dalia è interpretata da Mena Suvari, ed è uno dei fantasmi che affollano la casa. Secondo la finzione telefilmica, la ragazza vi morì a causa di una prolungata anestesia, somministratale da un dentista che aveva bisogno di "riscuotere" un pagamento in natura. All'uomo venne in aiuto il fantasma di Charles Montgomery, folle chirurgo nonché primo proprietario della casa, che fece a pezzi il corpo di Elizabeth affinché fosse più facile portarlo via.


Benché il telefilm mi piaccia molto, non ho gradito l'inserimento di un fatto di cronaca così tragico nella storia.