Autrice: Michelle Cohen Corasanti
Lingua: italiano
Titolo originale: The almond tree
Genere: drammatico / fiction storica
Prima pubblicazione: 2012
Questo romanzo è un continuo pugno nello stomaco.
Comincia con la morte di una bambina, continua con una famiglia costretta a lasciare la propria casa e la propria terra, e prosegue con altre morti e ingiustizie, tanto che, durante i primi capitoli, mi sono chiesta se volessi davvero proseguire con la lettura.
E sono felice di averlo fatto. Perché Come il vento tra i mandorli permette di capire cosa accadde, a partire dagli anni cinquanta del Novecento, tra ebrei e palestinesi, cosa significò per innumerevoli famiglie arabe perdere affetti, ricordi e fonti di sostentamento.
Perché una storia, pur se inventata, può aiutare a comprendere gli eventi molto più di qualche scarno paragrafetto presente sui libri di storia.
Protagonista è Ichmad, che, all'inizio del romanzo, è solo un bambino che vede il proprio mondo devastato da qualcosa che non riesce a spiegarsi, e si ritrova a capo di una famiglia sempre più povera, disperata, e piena di odio e rancore nei confronti degli ebrei. Suo punto di riferimento è il padre, che, seppur ingiustamente arrestato, lo sprona a seguire i suoi sogni e a mettere da parte ogni risentimento ed astio.
Pur se punteggiata da disgrazie - e forse quella di Nora l'autrice avrebbe potuto risparmiargliela - la
vita di Ichmad è quindi votata alla tolleranza, alla speranza e alla volontà di spezzare la catena di odio che soffoca i due popoli.
L'ultima parte della storia, ambientata nel 2009, ci mette di fronte alle condizioni della popolazione della striscia di Gaza, e alla totale mancanza di prospettive e speranze per il futuro dei suoi giovani - per cui l'arco narrativo del nipote di Ichmad è facilmente prevedibile, ma lascia anche il lettore con un gran senso di impotenza -.
Di sicuro uno degli aspetti migliori del romanzo è il rapporto tra Ichmad e il suo insegnante ebreo, che ci mostra come l'amicizia tra popoli diversi possa essere possibile e che in fondo, anche quando tutto sembra irrimediabilmente distrutto, l'umanità è capace di riportare alla luce quella speranza data ormai per scomparsa.
La copertina: molto belli i fiori e il contrasto tra il loro colore tenue e quelli più forti degli abiti del bambino.
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Quarta di copertina: Palestina, metà degli anni cinquanta. Mentre il conflitto arabo-israeliano infiamma, Ichmad, dodici anni, un talento non comune per la matematica e un'ammirazione sconfinata per Albert Einstein, scopre per la prima volta cosa siano la violenza e la paura. La sua famiglia viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Ma i problemi non sono finiti: quando il padre di Ichmad viene imprigionato con l'accusa di aver nascosto delle armi, spetta al primogenito prendersi cura della madre e dei fratelli. Ichmad deve trovare un lavoro, e in fretta. Suo unico conforto, il mandorlo in fondo al giardino. Anno dopo anno, ingiustizia dopo ingiustizia, i suoi fratelli soccombono all'odio verso Israele, invece Ichmad lotta per dare un senso a ciò che lo circonda e, grazie alla sua intelligenza matematica, vince una borsa di studio per l'università. Intanto il mandorlo resta lì, in fondo al giardino d'infanzia. Mentre la Storia fa il suo corso. Mentre Ichmad, ormai adulto, riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia. Mentre capisce cosa siano l'amore e il lutto, la rabbia e il perdono. E, riappropriandosi delle proprie radici, finalmente ricomincia a sognare.
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Giudizio personale: 5/5