Titolo originale: Anna Karénina
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[attenzione: SPOILER]
Anna Karénina è un lungo romanzo suddiviso in ben otto parti, eppure non ero ancora alla fine della seconda, che già ero innamorata del personaggio di Anna, una donna brillante, vivace, di buon cuore, a suo modo ingenua, ed incapace di mentire. L'incontro con Vronskij e la passione, ricambiata, che questo le suscita, le apre le porte di un nuovo mondo, un mondo in cui è possibile innamorarsi, ma, soprattutto, le apre gli occhi su quella che è la sua vita: non è un caso se solo a questo punto, la donna si rende conto per la prima volta di alcuni aspetti fisici e soprattutto morali e caratteriali del marito da cui si scopre disgustata.
Per una gran parte del libro - che mi è sembrata infinita - il personaggio di Anna viene eclissato, come inghiottito dalla stessa passione che l'ha risvegliato, e ci ritroviamo spettatori di eventi che riguardano altri personaggi, soprattutto Kitty e Lévin (che, pare, sia il personaggio più simile allo scrittore, e, nello stesso tempo, solo una faccia di quella medaglia che reca dall'altro lato l'effigie di Anna). La loro storia riesce ad interessare ed essere a tratti tenera, come nella scena al tavolo da biliardo, ma il cuore pulsante del romanzo, come d'altronde ci suggerisce lo stesso titolo, è Anna.
Quando finalmente la ritroviamo, è una donna profondamente lacerata dalla sua scelta: incapace di mentire, rifiuta infatti di mantenere una facciata di "rispettabilità" continuando a vivere con suo marito ma intrattenendo contemporaneamente una relazione clandestina (come, sembra, facesse un po' chiunque), e fugge con l'uomo che ama, dovendo però rinunciare all'adorato figlio.
Ed è una Anna che suscita molta pena quella che afferma che le uniche persone che ama sono Vronskij e il suo bambino, ma che, non potendo stare con entrambi, è condannata a non essere mai felice.
Ed è una Anna che suscita molta pena quella che afferma che le uniche persone che ama sono Vronskij e il suo bambino, ma che, non potendo stare con entrambi, è condannata a non essere mai felice.
L'ipocrita società russa la mette al bando -terribile la scena in teatro, e molto significativa quella del film di Joe Wright, in cui la cognata di Vronskij gli dice che Anna sarebbe stata perdonata se avesse infranto la legge, ma lei ha infranto le regole-, la rifiuta e la evita in quanto donna che ha lasciato la sua casa e suo marito, che ha sfidato le convenzioni sociali, ma ciò non accade a Vronskij, uomo, libero e ad un certo punto anche ricco, non abbastanza sensibile da comprendere quanto l'intera situazione sia deleteria per Anna, confinata nella sua stessa casa, incapace di scappare da se stessa o anche solo di addormentarsi, tenuta lontana dal figlio. E così quell'amore che le aveva aperto gli occhi diviene qualcosa di cupo e angoscioso, starle vicino è quasi impossibile, la gelosia la divora, e il dubbio che l'uomo per cui ha rinunciato a tutto non la ami più, o non la ami abbastanza, la rende folle.
Arriviamo in tal modo al suicidio vendicativo, quello commesso perché lui soffra e si renda conto di ciò che ha perso, e di nuovo Anna ci fa pena, e anche tenerezza, quando si rende conto di quello che sta facendo e vorrebbe tirarsi indietro, vivere ancora, ma il treno è inarrestabile, e il suo passaggio se la porta via per sempre.
Dopo la morte di Anna il romanzo prosegue per un bel po', ma insieme a lei la luce si è spenta, e anche se la ricerca spirituale di Lévin può essere utile soprattutto per comprendere di più l'autore, il motivo principale per cui continuare a leggere ci ha abbandonato per sempre.
Durante la lettura di episodi od argomenti piuttosto noiosi, come l'agricoltura o le elezioni, mi sono spesso detta che se l'autore avesse lasciato fuori tutto ciò di strettamente legato al suo tempo, un po' come Jane Austen, che, ad esempio, non ci parla mai direttamente della guerra in corso durante le vicende dei suoi personaggi, Anna Karénina sarebbe stato un romanzo ancor più diffuso ed amato di quanto sia attualmente.
Dopo la morte di Anna il romanzo prosegue per un bel po', ma insieme a lei la luce si è spenta, e anche se la ricerca spirituale di Lévin può essere utile soprattutto per comprendere di più l'autore, il motivo principale per cui continuare a leggere ci ha abbandonato per sempre.
Durante la lettura di episodi od argomenti piuttosto noiosi, come l'agricoltura o le elezioni, mi sono spesso detta che se l'autore avesse lasciato fuori tutto ciò di strettamente legato al suo tempo, un po' come Jane Austen, che, ad esempio, non ci parla mai direttamente della guerra in corso durante le vicende dei suoi personaggi, Anna Karénina sarebbe stato un romanzo ancor più diffuso ed amato di quanto sia attualmente.
Ebbene, nella Postfazione di Vladimir Nabokov, è espresso più o meno un pensiero simile: " Ma a volte, anzi piuttosto spesso [...] l'incanto si spezza [...] fin quando il solenne scrittore non ha assolutamente finito quel pesante periodo in cui ci spiega e ci rispiega le sue idee sul matrimonio o [...] sulla coltivazione dei campi. [...] Per esempio, i problemi agricoli discussi nel libro, specie quando si parla dell'attività di Lévin, sono estremamente tediosi per i lettori in lingua straniera [...]. Artisticamente Tolstoj ha sbagliato dedicando tante pagine a queste faccende, soprattutto perché tendono a diventare antiquate e sono legate a un certo periodo storico e alle idee personali di Tolstoj che col tempo cambiarono. L'agricoltura degli anni Settanta del XIX secolo non ci dà il brivido eterno delle emozioni e delle motivazioni di Anna o di Kitty."
Sempre nella Postfazione, Nabokov spiega qual è il messaggio morale di Tolstoj facendo un interessante, seppur breve confronto tra le coppie Anna/Vronskij e Kitty/Lévin: "Il matrimonio di Lévin si fonda su una concezione metafisica, e non soltanto fisica, dell'amore, sulla disponibilità al sacrificio, sul rispetto reciproco. L'unione tra Anna e Vronskij si fonda soltanto sull'amore carnale, ed è qui la sua condanna (non nel fatto che i due fossero adulteri)."
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[attenzione: SPOILER]
Quarta di copertina: A questo romanzo, pubblicato nel 1875-1877, Tolstoj aveva pensato fin dal 1870 e l'idea gli si era venuta chiarendo e determinando quasi inconsapevolmente mentre altri interessi prevalevano nel suo spirito: mentre, soprattutto, maturava in lui quella profonda crisi che doveva concludersi solo con la sua morte nella sperduta stazione di Astapovo. Anna Karénina è la storia della passione disordinata di una signora dell'aristocrazia russa che, fuggita all'estero con l'amante, non trova la serenità dello spirito nella nuova condizione, e finisce tragicamente i suoi giorni con il suicidio. Ma attorno a questo nucleo si dispongono altre figure e altre vicende, tra cui l'amore felice di Lévin e Kitty, alternativa e soluzione necessaria al problema morale che agitava allora l'anima di Tolstoj. Il libro è dominato da un senso religioso dell'esistenza, dal disprezzo dell'autore per la falsità, la vanità della vita vissuta fino allora e della sua perenne aspirazione alla purezza, adombrata nelle parole con le quali il libro si chiude: " ... non capirò mai con la ragione perché prego e continuerò a pregare, ma la mia vita adesso, tutta la mia vita, indipendentemente da tutto quel che può succedermi, in ogni suo istante non solo non è priva di senso come prima, ma ha un sicuro significato per il bene che ho il potere d'infondervi ".
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Giudizio personale: 4/5
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Qui le citazioni dal testo
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L'ultima trasposizione cinematografica di Anna Karénina è quella del 2012, per la regia di Joe Wright.
Non avevo letto nulla riguardo al film prima di vederlo, e sono rimasta quanto meno perplessa: mi aspettavo una pellicola più "tradizionale", mentre questa si è rivelata piuttosto sui generis.
Il regista, infatti, attua una commistione tra cinema e teatro: gli attori recitano per lo più su un palcoscenico e si muovono come in teatro, con delle pose spesso esagerate.
Tutto è curato nei minimi particolari ed esteticamente molto bello, ma, per tutto il tempo della visione, ho avuto l'impressione che qualcosa non andasse: la mia voglia di guardare una bella storia -che fosse anche "storia" e non solo "bella"- non veniva soddisfatta.
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[attenzione: SPOILER]
Quarta di copertina: A questo romanzo, pubblicato nel 1875-1877, Tolstoj aveva pensato fin dal 1870 e l'idea gli si era venuta chiarendo e determinando quasi inconsapevolmente mentre altri interessi prevalevano nel suo spirito: mentre, soprattutto, maturava in lui quella profonda crisi che doveva concludersi solo con la sua morte nella sperduta stazione di Astapovo. Anna Karénina è la storia della passione disordinata di una signora dell'aristocrazia russa che, fuggita all'estero con l'amante, non trova la serenità dello spirito nella nuova condizione, e finisce tragicamente i suoi giorni con il suicidio. Ma attorno a questo nucleo si dispongono altre figure e altre vicende, tra cui l'amore felice di Lévin e Kitty, alternativa e soluzione necessaria al problema morale che agitava allora l'anima di Tolstoj. Il libro è dominato da un senso religioso dell'esistenza, dal disprezzo dell'autore per la falsità, la vanità della vita vissuta fino allora e della sua perenne aspirazione alla purezza, adombrata nelle parole con le quali il libro si chiude: " ... non capirò mai con la ragione perché prego e continuerò a pregare, ma la mia vita adesso, tutta la mia vita, indipendentemente da tutto quel che può succedermi, in ogni suo istante non solo non è priva di senso come prima, ma ha un sicuro significato per il bene che ho il potere d'infondervi ".
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Giudizio personale: 4/5
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Qui le citazioni dal testo
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L'ultima trasposizione cinematografica di Anna Karénina è quella del 2012, per la regia di Joe Wright.
Non avevo letto nulla riguardo al film prima di vederlo, e sono rimasta quanto meno perplessa: mi aspettavo una pellicola più "tradizionale", mentre questa si è rivelata piuttosto sui generis.
Il regista, infatti, attua una commistione tra cinema e teatro: gli attori recitano per lo più su un palcoscenico e si muovono come in teatro, con delle pose spesso esagerate.
Tutto è curato nei minimi particolari ed esteticamente molto bello, ma, per tutto il tempo della visione, ho avuto l'impressione che qualcosa non andasse: la mia voglia di guardare una bella storia -che fosse anche "storia" e non solo "bella"- non veniva soddisfatta.
Anna è interpretata da Keira Knightley, che ho trovato davvero perfetta per questo ruolo, mentre gli altri attori non mi hanno convinto, primi fra tutti, Matthew Macfadyen, uno Stiva un po' troppo macchiettistico, e Aaron Johnson nel ruolo di Vronskij, che avevo immaginato più virile.
Fa la sua (breve) comparsa anche Michelle Dockery (Downton Abbey), come la Principessa Myagkaya.
Molto belli i costumi di Jaqueline Durran, per i quali il film si è aggiudicato un Oscar.
Alcune scene mi sono piaciute molto, come quella del picnic tra Anna e Vronskij, con il bel contrasto tra il bianco degli abiti dei protagonisti e il verde della natura, e quella al letto di Anna febbricitante dopo il parto, che è stata resa proprio come l'avevo immaginata leggendo il libro.
Purtroppo nella pellicola il cambiamento di Anna è troppo repentino, e d'improvviso la ritroviamo vicina alla follia in una stanza quasi del tutto spoglia e foderata di blu. Mi è piaciuto, invece, come sono stati resi la superficialità e l'egoismo di Vronskij in un momento così delicato per Anna.
Troppo veloci anche alcuni passaggi riguardanti Lévin e Kitty, che possono risultare non molto chiari a chi non ha letto il romanzo.
Mi ha lasciata purtroppo delusa la scena del suicidio: non c'è nulla riguardo al fatto che fosse vendicativo, né che Anna, alla fine, si fosse pentita del suo gesto. Un vero peccato, perché a mio avviso questi sono due concetti molto importanti ai fini della comprensione del personaggio, e che arricchiscono ulteriormente il romanzo.
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