Autrice: Erica Orloff
Titolo originale: Spanish Disco
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I libri della collana Red Dress Ink -gruppo Mondadori- sono delle piccole commedie romantiche, qualche volta piuttosto prevedibili, ma perfette se ci si vuol dedicare ad una lettura leggera e rilassante.
Nella scelta di Tequila a colazione non mi sono affidata né al titolo né alla quarta di copertina -che in realtà dice ben poco-, bensì all'autrice, Erica Orloff, di cui avevo già letto -sempre nei Red Dress Ink- il bel Diario di una signora del blues.
E devo dire che anche questa volta non sono stata delusa.
La protagonista di Tequila a colazione è Cassandra, una editor caffeinomane con la casa sempre in disordine, un caratteraccio, un padre adorato con l'Alzheimer e una madre odiata che l'ha abbandonata da bambina. Un giorno viene inviata su un'isola per occuparsi del nuovo libro di un famosissimo scrittore fuori dalle scene da un bel po'. Giunta lì, Cas si accorge presto che le cose non sono per niente come sembrano, ed inoltre deve fare i conti con Michael, uno scrittore con cui lavora da cinque anni, che non ha mai incontrato, e che le ha dichiarato di essersi innamorato di lei...
Un libro delizioso, capace di far ridere e di commuovere, che indaga, nei limiti di una commedia romantica, il rapporto tra figli e genitori, il dolore della perdita, la difficoltà di comunicazione tra uomo e donna.
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Retrocopertina: Niente discussioni al mattino. Niente litigate per il coperchio del water sollevato. Niente rotture per il disordine in casa, la dipendenza dalla caffeina, l'abuso di Tequila Sunrise.
Michael era il mio non-amante ideale.
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Giudizio personale: 4/5
sabato 26 giugno 2010
sabato 19 giugno 2010
Identikit di un incubo
Autrice: Heather Graham
Titolo originale: Picture me dead
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Identikit di un incubo non mi è piaciuto.
La storia è piuttosto prevedibile, e per alcune pagine l'unica cosa che si aspetta è lo scoppio della passione tra i due protagonisti, il che accade abbastanza presto, bruciando una carta che avrebbe potuto essere vincente.
Sì, perchè a tratti Identikit di un incubo sembra più una commedia romantica travestita da giallo, che un thriller dalle sfumature rosa.
Non mi piacciono le continue ripetizioni -aveva una pistola. E sapeva usarla-, lo stile del racconto, da storiella semplice; quello spiegare sempre tutto per filo e per segno (lo so, è un classico, che il cattivo con la pistola puntata, invece di far fuoco e scappare, si fermi lì, come un teatrante al centro del palcoscenico, non solo per ammettere tutta la sua colpevolezza, ma per illustrarci per filo e per segno come e dove e quando e perché. Dicevo, è un classico, ma non mi va mai giù, troppo poco realistico e poco fiducioso nell'intelligenza dei lettori), ma soprattutto, quel che ho apprezzato meno, è stato il terminare più o meno un capitolo sì e uno no con una suspance finta; il gioco non dura molto, e già sai che, all'inizio del capitolo successivo, non sarà successo nulla, si sarà trattato di un equivoco, la bella starà bene -magari tra le braccia dell' amato-, o la tizia di turno avrà urlato per un motivo noto solo a lei e alla scrittrice.
Alcune situazioni sono poco credibili, il finale -chissà come mai- scontato e zuccheroso.
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Retrocopertina: Ashley Montague, recluta della polizia, si ritrova sulla scena di un incidente. Sull'asfalto un ragazzo mezzo nudo travolto da un'auto. L'immagine le si imprime nel cervello come su una lastra fotografica. Grazie alla sua passione per gli identikit, scopre l'identità della vittima. Qualcosa non la convince e lei vuole scoprire cosa.
Il detective Jake Dilessio deve indagare su un omicidio che risveglia vecchi fantasmi. Il cadavere di una donna orribilmente mutilato lo riporta a un caso archiviato cinque anni prima.
E' solo l'inizio di due indagini che finiranno con l'intrecciarsi nel clima avvolgente della Florida, tra tensione e pericolosa attrazione.
"Un thriller che corre inesorabile verso il finale come una fiamma lungo la miccia".
Publishers Weekly.
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Giudizio personale: 2/5
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Identikit di un incubo non mi è piaciuto.
La storia è piuttosto prevedibile, e per alcune pagine l'unica cosa che si aspetta è lo scoppio della passione tra i due protagonisti, il che accade abbastanza presto, bruciando una carta che avrebbe potuto essere vincente.
Sì, perchè a tratti Identikit di un incubo sembra più una commedia romantica travestita da giallo, che un thriller dalle sfumature rosa.
Non mi piacciono le continue ripetizioni -aveva una pistola. E sapeva usarla-, lo stile del racconto, da storiella semplice; quello spiegare sempre tutto per filo e per segno (lo so, è un classico, che il cattivo con la pistola puntata, invece di far fuoco e scappare, si fermi lì, come un teatrante al centro del palcoscenico, non solo per ammettere tutta la sua colpevolezza, ma per illustrarci per filo e per segno come e dove e quando e perché. Dicevo, è un classico, ma non mi va mai giù, troppo poco realistico e poco fiducioso nell'intelligenza dei lettori), ma soprattutto, quel che ho apprezzato meno, è stato il terminare più o meno un capitolo sì e uno no con una suspance finta; il gioco non dura molto, e già sai che, all'inizio del capitolo successivo, non sarà successo nulla, si sarà trattato di un equivoco, la bella starà bene -magari tra le braccia dell' amato-, o la tizia di turno avrà urlato per un motivo noto solo a lei e alla scrittrice.
Alcune situazioni sono poco credibili, il finale -chissà come mai- scontato e zuccheroso.
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Retrocopertina: Ashley Montague, recluta della polizia, si ritrova sulla scena di un incidente. Sull'asfalto un ragazzo mezzo nudo travolto da un'auto. L'immagine le si imprime nel cervello come su una lastra fotografica. Grazie alla sua passione per gli identikit, scopre l'identità della vittima. Qualcosa non la convince e lei vuole scoprire cosa.
Il detective Jake Dilessio deve indagare su un omicidio che risveglia vecchi fantasmi. Il cadavere di una donna orribilmente mutilato lo riporta a un caso archiviato cinque anni prima.
E' solo l'inizio di due indagini che finiranno con l'intrecciarsi nel clima avvolgente della Florida, tra tensione e pericolosa attrazione.
"Un thriller che corre inesorabile verso il finale come una fiamma lungo la miccia".
Publishers Weekly.
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Giudizio personale: 2/5
domenica 6 giugno 2010
Ancora dalla parte delle bambine
Autrice: Loredana Lipperini
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Con questo libro è stato amore a prima vista.
Ha tradotto in parole quello che vivo e mi chiedo lavorando con bambini e ragazzi: "Perchè le figlie di quelle donne che sognavano di diventare presidenti degli Stati Uniti -o del Consiglio, volendo riportare il tutto in Italia- desiderano invece, diventare estetiste, letterine, veline? Cosa è successo alle nostre bambine? ".
Spesso resto piuttosto colpita, dal vederle truccate a nove anni, dal constatare che una seduta dall'estetista -a 13 anni- o dal parrucchiere, è più importante di una giornata di scuola, e che per loro non c'è nulla di più invidiabile in un'amica, che unghie perfette, laccate e decorate all'ultima moda.
Dalla parte delle bambine analizza proprio questa decadenza -lasciatemi passare il termine-, ponendosi come un ideale proseguimento di Dalla parte delle bambine, di Elena Gianini Belotti, che raccontava, negli anni Settanta, come l'educazione dei bambini e delle bambine fosse tale da rinchiuderli in ruoli prestabiliti (i peggiori, manco a dirlo, riservati alle piccole).
Loredana Lipperini pone l'accento sulla regenderization, cioè sul fatto che la nostra società, dopo decenni di lotte per la parità, stia tristemente tornando alla gabbia della divisione dei sessi, condizionando gusti e aspirazioni dei bambini e delle bambine.
Interessante è anche il discorso sulle pubblicità e sulle riviste per adolescenti, che in realtà si rivolgono a piccole di età dagli otto anni in su, le quali vengono portate a desiderare trucchi, abiti alla moda, unghie perfette, ed a considerare il proprio valore in base all'aspetto del proprio corpo, dando poca -o nulla, purtroppo- importanza all'intelligenza e alle capacità individuali.
Un saggio che ti lascia con l'amaro in bocca, che mi ha messo tristezza, che apre gli occhi su lustrini, glitter, tuttorosaaognicosto sotto i quali vengono sepolte le nostre bambine, che, se non aiutate e prese per mano, cresceranno con la convinzione di poter giocare solo al Sapientino rosa, di dover aiutare la mamma nelle faccende -aspettando con ansia di diventare grandi e attendere l'uomo con le pantofole pronte e la cena in caldo-, di non essere adatte allo studio della matematica o alle scienze, di doversi preoccupare solo di abiti, trucco e parrucco, posticipando ad un lontano domani la lettura di un buon libro.
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Retrocopertina: Quali sono i modelli delle "nuove" bambine? Cosa sognano di essere? Madri? Ballerine? Mogli di calciatori?
Le eroine dei fumetti le invitano a essere belle. Le loro riviste propongono test sentimentali e consigli su come truccarsi. Nei loro libri scolastici, le mamme continuano ad accudire alla casa per padri e fratelli. La pubblicità le dipinge come piccole cuoche. La moda le vuole in minigonna e tanga. Le loro bambole sono sexy e rispecchiano (o inducono) i loro sogni: diventare madri, ballerine, estetiste, mogli di calciatori, appunto. Questo è il mondo delle nuove bambine.
Negli anni Settanta, Elena Gianini Belotti (la sua prefazione a questo libro è un vero e proprio passaggio di testimone) raccontò come l'educazione sociale e culturale all'inferiorità femminile si compisse nel giro di pochi anni, dalla nascita all'ingresso nella vita scolastica. Le cose non sono cambiate, dice Loredana Lipperini, malgrado le apparenze. Niente più grembiulino rosa all'asilo, ma in tutti i toni del rosa è dipinto il mondo di Barbie e delle sue molte sorelle. Libri, film e cartoni propongono, certo, più personaggi femminili di un tempo: ma confinandoli negli antichi stereotipi della fata e della strega.
Con grande lucidità e sicura ampiezza di indagine, Lipperini fa perno intorno a una domanda cruciale (come è possibile che le ragazze che volevano diventare presidenti degli Stati Uniti abbiano partorito figlie che sognano di sculettare seminude al fianco di un rapper?) e torna lì dove le bambine compiono ancora oggi il loro apprendistato al secondo sesso: la famiglia, la scuola, il mondo dei media, l'immaginario dei libri e dei cartoni.
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Giudizio personale: 3/5
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Con questo libro è stato amore a prima vista.
Ha tradotto in parole quello che vivo e mi chiedo lavorando con bambini e ragazzi: "Perchè le figlie di quelle donne che sognavano di diventare presidenti degli Stati Uniti -o del Consiglio, volendo riportare il tutto in Italia- desiderano invece, diventare estetiste, letterine, veline? Cosa è successo alle nostre bambine? ".
Spesso resto piuttosto colpita, dal vederle truccate a nove anni, dal constatare che una seduta dall'estetista -a 13 anni- o dal parrucchiere, è più importante di una giornata di scuola, e che per loro non c'è nulla di più invidiabile in un'amica, che unghie perfette, laccate e decorate all'ultima moda.
Dalla parte delle bambine analizza proprio questa decadenza -lasciatemi passare il termine-, ponendosi come un ideale proseguimento di Dalla parte delle bambine, di Elena Gianini Belotti, che raccontava, negli anni Settanta, come l'educazione dei bambini e delle bambine fosse tale da rinchiuderli in ruoli prestabiliti (i peggiori, manco a dirlo, riservati alle piccole).
Loredana Lipperini pone l'accento sulla regenderization, cioè sul fatto che la nostra società, dopo decenni di lotte per la parità, stia tristemente tornando alla gabbia della divisione dei sessi, condizionando gusti e aspirazioni dei bambini e delle bambine.
Interessante è anche il discorso sulle pubblicità e sulle riviste per adolescenti, che in realtà si rivolgono a piccole di età dagli otto anni in su, le quali vengono portate a desiderare trucchi, abiti alla moda, unghie perfette, ed a considerare il proprio valore in base all'aspetto del proprio corpo, dando poca -o nulla, purtroppo- importanza all'intelligenza e alle capacità individuali.
Un saggio che ti lascia con l'amaro in bocca, che mi ha messo tristezza, che apre gli occhi su lustrini, glitter, tuttorosaaognicosto sotto i quali vengono sepolte le nostre bambine, che, se non aiutate e prese per mano, cresceranno con la convinzione di poter giocare solo al Sapientino rosa, di dover aiutare la mamma nelle faccende -aspettando con ansia di diventare grandi e attendere l'uomo con le pantofole pronte e la cena in caldo-, di non essere adatte allo studio della matematica o alle scienze, di doversi preoccupare solo di abiti, trucco e parrucco, posticipando ad un lontano domani la lettura di un buon libro.
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Retrocopertina: Quali sono i modelli delle "nuove" bambine? Cosa sognano di essere? Madri? Ballerine? Mogli di calciatori?
Le eroine dei fumetti le invitano a essere belle. Le loro riviste propongono test sentimentali e consigli su come truccarsi. Nei loro libri scolastici, le mamme continuano ad accudire alla casa per padri e fratelli. La pubblicità le dipinge come piccole cuoche. La moda le vuole in minigonna e tanga. Le loro bambole sono sexy e rispecchiano (o inducono) i loro sogni: diventare madri, ballerine, estetiste, mogli di calciatori, appunto. Questo è il mondo delle nuove bambine.
Negli anni Settanta, Elena Gianini Belotti (la sua prefazione a questo libro è un vero e proprio passaggio di testimone) raccontò come l'educazione sociale e culturale all'inferiorità femminile si compisse nel giro di pochi anni, dalla nascita all'ingresso nella vita scolastica. Le cose non sono cambiate, dice Loredana Lipperini, malgrado le apparenze. Niente più grembiulino rosa all'asilo, ma in tutti i toni del rosa è dipinto il mondo di Barbie e delle sue molte sorelle. Libri, film e cartoni propongono, certo, più personaggi femminili di un tempo: ma confinandoli negli antichi stereotipi della fata e della strega.
Con grande lucidità e sicura ampiezza di indagine, Lipperini fa perno intorno a una domanda cruciale (come è possibile che le ragazze che volevano diventare presidenti degli Stati Uniti abbiano partorito figlie che sognano di sculettare seminude al fianco di un rapper?) e torna lì dove le bambine compiono ancora oggi il loro apprendistato al secondo sesso: la famiglia, la scuola, il mondo dei media, l'immaginario dei libri e dei cartoni.
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Giudizio personale: 3/5
sabato 5 giugno 2010
La figlia della fortuna
Autrice: Isabel Allende
Titolo originale: Hija de la Fortuna
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Ho già detto che adoro Isabel Allende? Probabilmente sì, ma val la pena ripeterlo:
ADORO Isabel Allende!
La figlia della Fortuna è il primo libro di quella che può essere considerata una "trilogia", composta inoltre da Ritratto in seppia e La casa degli spiriti.
La protagonista di questo libro è infatti Eliza Sommers, nonna di Aurora del Valle, protagonista di Ritratto in seppia.
La storia comincia in Cile, con l'arrivo di Eliza nella vita della zia Rose, e continua in viaggio verso verso gli Stati Uniti, fino a terminare nel quartiere cinese di San Francisco.
In Cile incontriamo - o ri-incontriamo, per chi, come me, ha letto La figlia della fortuna dopo gli altri due capitoli - Paulina del Valle, giovanissima ma già combattiva e scaltrissima negli affari, colei che diverrà una della colonne portanti di Ritratto in seppia.
C'è Tao Chi'en, un anonimo "Quarto figlio" cinese che diventa zhong yi, e fa della sua vita una continua battaglia per la salvezza delle sing-song girls.
C'è la ricca borghesia cilena, cristallizzata nel suo mondo di ori e velluto, e dalla mentalità ristretta; c'è la California, la corsa all'oro, la nascita della città di Los Angeles, patria di violenza ma di estrema libertà.
E soprattutto c'è lei, Eliza, che avevo del tutto sottovalutato in Ritratto in seppia, ma che qui ci è presentata dalla Allende in tutto il suo coraggio, in tutta la sua caparbietà, dolcezza, passionalità.
Un libro davvero magnifico, che consiglio vivamente.
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Retrocopertina: Cile, 1832: Eliza viene abbandonata anocra neonata sulla soglia di casa dei fratelli inglesi Jeremy, John e Rose Sommers, che si sono trasferiti a Valparaìso. L'eccentrica Rose insiste perchè la piccola cilena venga adottata ed entri a far parte della famiglia. Eliza viva tra due mondi: le viene impartita un'educazione rigidamente anglosassone, nella speranza di un futuro sereno coronato da un buon matrimonio, e al contempo le vengono fatte conoscere dalla cuoca di casa, Mama Fresia, la vitalità, la magia e la carnalità del suo popolo.
Si innamora perdutamente di un giovane idealista che lavora per Jeremy, Joaquìn Andieta, il quale però nel 1848, alla notizia che in California sono stati scoperti favolosi giacimenti d'oro, decide di salpare in cerca di fortuna. Eliza si mette sulle sue tracce e, assieme al medico cinese Tao Chi'en, si imbarca alla volta di San Francisco. Passa così da un'America all'altra, dove andrà alla ricerca dell'amato, tra dolore, sofferenza, speranza, fra avventurieri e banditi assetati di giustizia, sfidando sogni e sentimenti. "La figlia della fortuna" è la storia di molte passioni, amorose e politiche, per la terra, il mare, l'oro, per la libertà e la gioia d'esistere.
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Giudizio personale: 5/5
Titolo originale: Hija de la Fortuna
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Ho già detto che adoro Isabel Allende? Probabilmente sì, ma val la pena ripeterlo:
ADORO Isabel Allende!
La figlia della Fortuna è il primo libro di quella che può essere considerata una "trilogia", composta inoltre da Ritratto in seppia e La casa degli spiriti.
La protagonista di questo libro è infatti Eliza Sommers, nonna di Aurora del Valle, protagonista di Ritratto in seppia.
La storia comincia in Cile, con l'arrivo di Eliza nella vita della zia Rose, e continua in viaggio verso verso gli Stati Uniti, fino a terminare nel quartiere cinese di San Francisco.
In Cile incontriamo - o ri-incontriamo, per chi, come me, ha letto La figlia della fortuna dopo gli altri due capitoli - Paulina del Valle, giovanissima ma già combattiva e scaltrissima negli affari, colei che diverrà una della colonne portanti di Ritratto in seppia.
C'è Tao Chi'en, un anonimo "Quarto figlio" cinese che diventa zhong yi, e fa della sua vita una continua battaglia per la salvezza delle sing-song girls.
C'è la ricca borghesia cilena, cristallizzata nel suo mondo di ori e velluto, e dalla mentalità ristretta; c'è la California, la corsa all'oro, la nascita della città di Los Angeles, patria di violenza ma di estrema libertà.
E soprattutto c'è lei, Eliza, che avevo del tutto sottovalutato in Ritratto in seppia, ma che qui ci è presentata dalla Allende in tutto il suo coraggio, in tutta la sua caparbietà, dolcezza, passionalità.
Un libro davvero magnifico, che consiglio vivamente.
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Retrocopertina: Cile, 1832: Eliza viene abbandonata anocra neonata sulla soglia di casa dei fratelli inglesi Jeremy, John e Rose Sommers, che si sono trasferiti a Valparaìso. L'eccentrica Rose insiste perchè la piccola cilena venga adottata ed entri a far parte della famiglia. Eliza viva tra due mondi: le viene impartita un'educazione rigidamente anglosassone, nella speranza di un futuro sereno coronato da un buon matrimonio, e al contempo le vengono fatte conoscere dalla cuoca di casa, Mama Fresia, la vitalità, la magia e la carnalità del suo popolo.
Si innamora perdutamente di un giovane idealista che lavora per Jeremy, Joaquìn Andieta, il quale però nel 1848, alla notizia che in California sono stati scoperti favolosi giacimenti d'oro, decide di salpare in cerca di fortuna. Eliza si mette sulle sue tracce e, assieme al medico cinese Tao Chi'en, si imbarca alla volta di San Francisco. Passa così da un'America all'altra, dove andrà alla ricerca dell'amato, tra dolore, sofferenza, speranza, fra avventurieri e banditi assetati di giustizia, sfidando sogni e sentimenti. "La figlia della fortuna" è la storia di molte passioni, amorose e politiche, per la terra, il mare, l'oro, per la libertà e la gioia d'esistere.
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Giudizio personale: 5/5
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